L’immagine dipinta e l’immagine visiva sono due comprensioni del mondo che si elaborano in modo diverso.
Non sono mai sovrapponibili completamente perché lo scarto significativo tra ciò che appare e ciò che viene rappresentato è complesso e sfuggente. E si nasconde nel confine tra reale ed immaginario. Un confine frastagliato, che spesso deve con fatica essere ricostruito dalla coscienza durante il suo incessante lavoro di autoaffermazione.
Luigi Gargaglia è un artista che sembra procedere con i suoi dipinti lungo questo confine. Ma non in maniera programmatica, senza nessun fine d’esplorazione, perché nessuna pittura è meno “contenutistica” della sua. Anche se nessuna pittura, più della sua, rivela la possibilità d’essere delle persone e delle cose del mondo in modo più sbalorditivo.
I titoli, mi ha detto una volta questo artista, li mette sempre dopo, anzi, qualche volta non è lui a metterli, perché lascia alle persone che gli sono vicine la possibilità di comprendere ciò che la sua pittura misteriosamente rivela, certo che il loro comprendere possa divenire rivelazione anche per lui.
Per quanto lo riguarda infatti il “comprendere”, in arte, per lui, è conseguenza del rappresentare, non premessa, perché non ritiene importante per l’operazione creativa nulla che non sia legato al fare lento del dipingere, con il quale egli visualizza sulla tela ciò che il suo occhio ha incontrato nello spazio, attraverso la trasformazione degli oggetti e delle persone in figure. In modo analogo a quanto fa il pensiero, che trasforma nella sostanza incorporea dei concetti la materia fisica dell’esistenza.
Tutta la minuziosa figurazione dei dipinti di Luigi Gargaglia è infatti realizzata in una stesura sottile, che racchiude in forme nitide e taglienti i colori del reale, depurati dall’inevitabile offuscamento delle ombre, ed esaltati in un tono che li strappa a qualsiasi naturalismo. Tanto che le presenze che abitano lo spazio della tela, nei suoi quadri, sembrano essere state trasportate in un luogo al riparo dal peso ingombrante del loro esistere nel mondo, dove possono rinascere a quell’essere del pensiero che è l’arte, divenendo appunto ”figure”.
Questa chiarezza allucinata della pittura di Luigi Gargaglia non sottrae però spessore esistenziale ai suoi personaggi, i quali ci si presentano, anzi, quasi sempre con i segni di una tensione psicologica molto intensa, ma mai definita a livello sentimentale. Ed è propio questa loro assenza di emozione a bloccarli in una visione metafisica, nella quale l’angoscia che manifestano è espressione del loro inconsapevole appartenere all’universale tensione dell’esistente, che si nasconde dietro il velo delle esistenze, aldilà di qualsiasi vicenda biografica particolare.
La banalità e le situazioni consuete nelle quali sono ritratti i personaggi dei quadri di Luigi contrastano infatti con la fissità dei loro sguardi attoniti. Come il realismo calligrafico che li individua contrasta con l’intensità abbagliante dei colori, nei quali si lacera il paravento della quotidiana tranquillità. Ed ogni situazione diviene così, nella sua pittura, non impossibile, ma accecante, perché illuminata da una luce trasparente e senza atmosfera, che trasfigura le immagini reali in visioni fantasmagoriche.
Ho riconosciuto nei dipinti di Luigi persone mie amiche, che mi sono apparse inspiegabilmente altre da loro, ed ho ravvisato nei ritratti intensi e precisi di persone mai conosciute la traccia sicura di un eco misteriosamente noto.
Allo stesso modo la presenza dell’artista, nelle effigi dei suoi molti autoritratti, non mi ha mai ricondotta alla conoscenza che avevo di questo pittore timido e silenzioso. Come se la sua pittura me ne rivelasse un essere al di fuori della comune esistenza nella quale lo avevo incontrato. Un esistenza né futura né passata, ma altra da quella semplicemente reale.
In particolare nel suo autoritratto con il maglione azzurro questa sua esistenza si rivela all’unisono con quella degli oggetti che nel suo studio lo circondano, perché il suo sguardo intenso e vuoto ci obbliga a collocare in esso la ragion d’essere dell’apparire di quelle cose in una visione scarnificata e al tempo stesso abbagliante. Chiara e certa come il bianco della tela davanti a lui, che nel suo candore sembra aver svelato ogni mistero dell’apparenza del mondo, cancellando, con l’emanazione della sua luce, tutti i dubbi e le incertezza del procedere della vita, per farne rinascere l’unica possibile certezza nella semplice e rigorosa forma pittorica delle cose. La forma della superficie di una tela, che abbiamo sempre sotto gli occhi nello studio di un artista, che Luigi, però, in questo dipinto non guarda, ma anche quella nascosta dei telai, che, poggiati dietro di lui, ci vengono svelati. O la forma della sedia e quella delle mattonelle del pavimento che si inclina in un piano di profondità distante dalla certezza di ogni nozione prospettica. La forma del suo corpo sottile, divenuta condensazione di azzurro, e quella del suo viso che guarda fuori del dipinto. La forma cubica dello spazio del suo studio, trasparente e perfetta come il contenuto di una contemplazione.
Tutto nell’immagine di questo autoritratto diviene forma, perfino l’illuminazione che si concentra nel cerchio della base di un cono luminoso, al centro del quale sta fermo il pittore. Ed anche il suo sguardo, che si coagula nel riflesso bianco delle sue pupille, si fa forma: per trasformare le cose viste nel mondo in pittura attraverso il filtro dell’anima.
Ecco perché di fronte a questo ed ad altri dipinti di Luigi Gargaglia noi rimaniamo quasi sempre in parte “esterni” alla visione che ci presentano. Perché la superficie dipinta dei suoi quadri è come un cristallo trasparente che separa la vita fisica da quella spirituale, tanto che il nostro essere nello spazio fisico del mondo si infrange contro la barriera di quel cristallo ideale, impedendoci qualsiasi processo di identificazione con le situazioni rappresentate. Al di qua dello spazio dipinto, noi non possiamo confondere le cose che sono in quello spazio con quelle che ci circondano. Neanche quando le riconosciamo identiche, come a volte accade nella figurazione di questo artista abile e raffinato. Per cui, sia che compaiano oggetti noti, come una televisione, i panni stesi dietro una finestra, il cassetto di un comodino, una lampada o le pieghe del lenzuolo dove è raffigurato lo scorcio perfetto di una donna seduta, sia che invece appaiano paesaggi fantastici e irreali, con piante e cieli fiabeschi, noi riconosciamo in tutto ciò la presenza di cose poste oltre il limite della quotidianità del reale. Non fantasmi provenienti da una vita trascorsa, ma figure di una dimensione presente, speculare alla nostra, ma con essa incommensurabile, perché sottratta al divenire del tempo e all’incessante usura dell’esistenza.
Certo il carattere visionario di una simile figurazione deve essere messo in rapporto con la particolarissima formazione culturale di questo artista, che ama i testi di meditazione spirituale ed ha vissuto in luoghi distanti dalla civiltà occidentale, e ricchi di esperienza mistica e trascendente, come l’India e molti paesi dell’Africa. Perché è evidente come questo carattere metafisico della sua pittura avvicini nei modi e nel contenuto la sua figurazione alla visione finale di un processo di meditazione.
Ma è altrettanto evidente che questa meditazione del fare pittura di Luigi Gargaglia non conduca ad un’evasione dal nostro mondo, ma allo spostarsi della forma della sua comprensione dal piano concreto a quello concettuale e spirituale.
Una comprensione nella quale non solo intelletto e anima divengono un unico filtro percettivo, ma nella quale l’apparire del nostro mondo non si modifica al cospetto di un’apparizione mistica.
Come è ben chiaro in una delle opere più intense di Luigi Gargaglia, nella quale vediamo, nell’interno di un vagone della metropolitana, in mezzo a viaggiatori sbalorditivamente comuni, apparire la figura di Cristo, che, come loro, è un viaggiatore. Non c’è stupore nei visi dei viaggiatori comuni, né segni d’estasi nel viso del Cristo. Tutti i viaggiatori fissano lo spazio trasparente del vagone, attraversato dai mancorrenti rossi come da lame taglienti. O guardano nel buio senza riflessi del finestrino, che si apre su un nero assoluto come il nulla, senza dar segno di averlo scorto. Non c’è bisogno che vedano il nulla nel quale sono immersi per continuare il loro viaggio, come non c’è bisogno che vedano Cristo perché egli appaia accanto al vuoto della loro solitudine.
Noi lo vediamo perché crediamo d’essere fuori da quel vagone. Mentre siamo solo fuori dal quadro. E non può essere un caso che il Cristo, che è nel vagone e nel quadro, guardi noi e non gli altri viaggiatori che sono con lui, mentre un signore distinto, elegante nei suoi abiti moderni come un’antica figura manierista del Bronzino o del Parmigianino, volge verso di noi lo sguardo con fare vagamente interrogativo. Come a chiederci il perché della nostra meraviglia.
Posso tranquillamente credere che Luigi Gargaglia abbia potuto vedere Cristo in Metropolitana. E sono assolutamente convinta che, in tal caso, non se ne sia affatto meravigliato.
Non perché sia un santo, ma perché è un artista per il quale la pittura è un modo di guardare ciò che non è visibile solo con gli occhi, rendendolo visibile anche ai nostri occhi, a patto che si guardi nei suoi quadri senza cercarvi ciò che già conosciamo.
The painted image and the visual image are two understandings of the world that are processed in a different way.
I’ve never completely overlap because the significant gap between what is and what is represented is complex and elusive. It lies in the boundary between the real and the imaginary. A jagged border, which often has to be laboriously reconstructed from consciousness during his ceaseless work of self-affirmation.
Luigi Gargaglia is an artist who seems to proceed with his paintings along this border. But it programmatically, with no end scanners, because painting is no less “of content” of his. Although no painting, more than her, reveals the possibility of being of people and the things of the world in a more stunning.
Securities, told me once about this artist, puts them ever after, indeed, sometimes it is not him to put them, because it leaves the people who are close to him the opportunity to understand what his painting mysteriously reveals certain that their understanding can become revelation for him.
As regards the fact the “understanding” in art, for him, is a consequence of the act, not the premise, because it believes it is important for the operation of creative anything that is not bound to do slow the paint with which he displays on canvas what his eye met in space, through the transformation of objects and people in the figures. In the same way as does the thought that turns into incorporeal substance of the concepts of physical matter existence.
All the meticulous representation of the paintings of Luigi Gargaglia is in fact made of a thin writing, enclosing forms crisp and sharp colors of the real, purified from the inevitable blurring of the shadows, and exalted them in a tone that rips any naturalism. So much so that the presences that inhabit the space of the canvas, his paintings appear to have been transported to a place away from the bulky weight of their existence in the world, where they can be reborn in the being of thought, which is the art, becoming just “figures”.
This hallucinatory clarity of painting of Luigi Gargaglia does not detract, however, existential depth to his characters, which are presented to us, in fact, almost always with the signs of a very intense psychological tension, but never defined a sentimental level. And this is their very own lack of emotion to lock them in a metaphysical vision, in which the anxiety that is manifested expression of their belonging to the universal unconscious tension exists, hiding behind the veil of existence, beyond any biographical particular.
The usual platitudes and situations in which the characters of the paintings are portraits of Luigi contrast it with the fixity of their astonished gaze. As the calligraphic realism that identifies them contrasts with the dazzling intensity of the colors, in which tears the cover of the daily tranquility. And every situation becomes, in his painting, not impossible, but blinding, because illuminated by a light transparent and without atmosphere, which transforms images into real phantasmagorical visions.
I recognized people in the paintings of Luigi my friends, I have appeared inexplicably more from them, and I recognized in portraits intense and precise than people ever known track to secure an eco mysteriously known.
Similarly, the presence of the artist, the effigies of his many self-portraits, I was never traced to the knowledge I had of this painter shy and quiet. As if his painting me out to be a being outside of the common life in which I had met him. An existence neither past nor future, but other than that just real.
In particular, in his self-portrait with the blue sweater that its existence is revealed in unison with that of the objects that surround him in his studio, because his intense gaze blank and forces us to place in it the raison d’etre of the appearance of those things in a vision and stripped at the same time dazzling. Clear and certain as the white of the canvas in front of him, which in its candor seems to have mastered every mystery of the appearance of the world, erasing, with the enactment of his light, all the doubts and uncertainty about the progress of life, to make the only certainty can be reborn in the simple and rigorous pictorial form of things. The shape of the surface of a canvas, which we always under the eyes in the studio of an artist, Luigi, however, in this painting does not look, but also the hidden frames, which, resting behind him, are revealed. Or the shape of the chair and the floor tile in a plane that is tilted away from the certainty of the depth of each term perspective. The shape of her slim body, which has become the condensation of blue, and that of his face looking out of the painting. The cubic shape of the space in his studio, transparent and perfect as the contents of a contemplation.
All of this self- image becomes a form, even lighting that is concentrated in the rim of the base of a cone of light, the center of which is still a painter. And even his eyes, which coagulates the white reflection of her eyes, it makes forms : to transform the things seen in the world of painting through the filter of the soul.
That’s why in front of this and other paintings of Luigi Gargaglia we remain almost always part of “external” to the vision that we have. Why the painted surface of his paintings is like a transparent glass that separates the physical from the spiritual life, so that our being in the physical space of the world is shattered by the barrier of the ideal crystal, preventing any process of identification with situations represented. On this side of the painted space, we can not confuse things that are in that space with those around us. Even when we recognize identical, as sometimes happens in the figuration of this artist skillful and refined. So, they appear to be well-known objects, such as a television, clothes hanging behind a window, the drawer of a bedside table, lamp, or the folds of the sheet where it is shown the glimpse of a perfect woman sitting, and instead appear fantastic landscapes and unreal, with plants and skies fairy tale, we recognize everything in the presence of things that are put beyond the limits of everyday reality. Not ghosts from a past life, but figures of this size, the mirror image of our own, but with it immeasurable, because withdrawn from the ceaseless becoming of time and wear and tear of life.
Of course, the visionary character of such a representation must be put in relation with the unique cultural education of this artist, who loves the texts of spiritual meditation and lived in places far away from Western civilization, and rich in mystical and transcendent experience, such as ‘ India and many countries in Africa. Because it is clear that this metaphysical character of his painting approach in the manner and content in its representation to the final view of a process of meditation.
But it is equally clear that this meditation of painting of Luigi Gargaglia does not lead to an escape from our world, but to move the shape of his understanding from the concrete floor to the conceptual and spiritual.
An understanding in which not only intellect and soul become one perceptual filter, but in which the appearance of our world does not change in the presence of a mystic appearance.
As is clear in one of the most intense works of Luigi Gargaglia, in which we see the inside of a subway car, staggeringly common among travelers, appear the figure of Christ, who, like them, is a traveler. There is no wonder in the faces of ordinary travelers, nor signs of ecstasy in the face of Christ. All travelers secure the transparent space of the car, crossed by rails red as sharp blades. Or look in the dark without reflections of the window, which opens on a black as absolute nothingness, giving no sign of having seen. You do not need to see the nothingness in which they are immersed to continue their journey, as you do not need them to see Christ because he appears next to the emptiness of their loneliness.
We see it because we believe to be out of that car. While we are just out of the picture. It can not be a coincidence that the Christ, who is in the wagon and into the picture, look at us and not the other travelers who are with him, as a gentleman, elegant in its modern dress like an ancient figure Mannerist Bronzino or Parmigianino, his gaze turns toward us with making vague question. How to ask us because of our wonder.
I can easily believe that Luigi Gargaglia was able to see Christ in Metro. And I am absolutely convinced that, in this case, it is not at all astonished.
Not because he is a saint, but because he is an artist for whom painting is a way of looking at what is not seen only with the eyes, making it visible to our eyes, as long as you look in his paintings not seek what already know.
Licia Sdruscia 2014
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